Di fronte alla minaccia dell’innalzamento del mare e agli eventi climatici estremi, Rimini ripensa il suo waterfront: infrastrutture verdi, nuove strategie fognarie e soluzioni basate sulla natura per proteggere territorio e comunità
La silhouette della ruota panoramica sulla darsena si staglia sullo sfondo. A due passi c’è l’iconico Grand Hotel reso celebre da Federico Fellini, di fronte il mare e la spiaggia con gli ombrelloni e le sdraio. Nell’aria un misto di profumo di piadina e crema solare. Siamo sul Lungomare Tintori, il primo tratto della passeggiata a mare che si snoda sulla costa meridionale di Rimini, capitale del turismo estivo romagnolo. E i nostri piedi, in realtà, poggiano su un complesso tecnologico molto sofisticato, pensato per rispondere a due conseguenze della crisi climatica in cui viviamo: l’innalzamento dei livelli del mare e l’aumento della frequenza degli eventi estremi, che in Romagna si sono tradotti negli ultimi anni in inondazioni e allagamenti disastrosi.
L’innalzamento del mare è una delle conseguenze più gravi della crisi climatica. Non riguarda naturalmente solo la costa adriatica. Anzi. Un rapporto dell’Agenzia europea dell’ambiente pubblicato lo scorso anno quantifica il fenomeno e la fotografia che ne risulta non è affatto tranquillizzante. Si parla di un aumento globale medio, da inizio ‘900 a oggi, di almeno venti centimetri, con un’accelerazione del problema a partire dagli anni ‘60. A seconda degli scenari climatici, e cioè di quanto riusciremo o meno a contenere le emissioni climalteranti nei prossimi decenni, si parla di un aumento relativo medio del livello del mare tra i 30-55 centimetri (scenario a basse emissioni) e i 63-102 (scenario ad alte emissioni). Naturalmente con tante differenze, anche se il livello è cresciuto in quasi tutte le regioni costiere europee. Se le coste settentrionali delle regioni baltiche e della Norvegia sono un po’ meno esposte, molto più problematica è la situazione per i Paesi Bassi e per molti delta ed estuari e per tutte le coste dell’Europa meridionale.
Per esempio, come rilevato dal collega Marco Ranocchiari nel suo servizio sul Delta del Danubio, oggi il grande fiume trasporta solo un terzo dei sedimenti di un tempo. A trattenerli sono le numerose dighe costruite nell’ultimo secolo, i lavori continui di dragaggio del canale e, infine, l’innalzamento del livello del mare.
Quest’ultimo è un fenomeno molto studiato negli ultimi anni e ancora compreso solo in parte. Le cause sono molteplici: la fusione dei ghiacciai montani, continentali e polari; la dilatazione termica degli oceani dovuta all’aumento della temperatura; l’uso del suolo, la sua cementificazione e sfruttamento intenso, per esempio attorno ai porti e nei canali, e la subsidenza di molte zone tra terra e acqua. Innalzamento delle acque significa aumento di rischi a breve e lungo termine.
I dati dell’Agenzia europea dell’ambiente non fanno sconti. A un aumento di dieci centimetri può corrispondere una frequenza anche tripla di inondazioni costiere. Allo stato attuale delle conoscenze, entro il 2050, e cioè nell’arco di 20-25 anni, la frequenza di eventi estremi legati al livello del mare potrebbe decuplicare in molte zone di costa europee. Tempeste sempre più intense significano più erosione costiera e minore capacità di protezione naturale delle spiagge e delle dune. In altre parole, una perdita netta di territorio, con arretramento della cosiddetta linea di costa, un fenomeno quantificato nel Mediterraneo tra i cinquanta centimetri e il metro negli ultimi trent’anni.
Sarebbe dunque necessario mettere in sicurezza, attraverso piani e opere di adattamento, i milioni di persone che vivono lungo le coste da impatti diretti, come gli effetti disastrosi delle alluvioni, con rischi di perdita di vite umane e distruzione di case e infrastrutture, e da impatti indiretti come la salinizzazione delle falde acquifere e delle terre di costa, la diffusione di patogeni, ma anche l’aumento dell’ansia e dello stress psicologico associato all’insicurezza. In un’inchiesta precedente sulle conseguenze delle inondazioni in Romagna, precisamente a Faenza, abbiamo ad esempio rilevato che per molte persone lo stravolgimento della quotidianità, l’incertezza, la paura, hanno un impatto molto pesante sul piano psicologico e forse troppo poco considerato nelle fasi di gestione post-emergenza.
La situazione della Riviera romagnola
Uno studio del 2020 dell’Università di Bologna ha calcolato che nel periodo tra il 1993 e il 2019 l’aumento del livello del mare è stato di poco meno di tre millimetri all’anno: un dato coerente con altri studi ma che preoccupa per le particolari condizioni dell’area. Nell’articolo, infatti, si legge che il tratto costiero dell’Emilia-Romagna è “estremamente sensibile alle inondazioni costiere dovute alle mareggiate e all'innalzamento del livello del mare”. L’analisi è basata su due tipologie di dati: quelli che provengono da tre mareografi e quelli che provengono dal Servizio Marittimo di Copernicus, l’agenzia europea per l’osservazione satellitare del nostro pianeta. Oltre all’innalzamento dei livelli dei mari a causa della crisi climatica, però, ci sono altri fattori che contribuiscono alla criticità dell’area: “subsidenza, deficit di apporto di sedimenti dovuto alla marcata diminuzione del trasporto fluviale, rimozione della dorsale dunale e aumento della pressione antropica”.
La preoccupazione è nota da tempo agli amministratori locali, a vari livelli. In un documento della Regione pensato per lo European Maritime Day del 2022, Luisa Perini, geologa in forza al Settore difesa del territorio, sottolinea come ben il 47% delle coste dell’Emilia-Romagna siano colpite da fenomeni di erosione. E a proposito della pressione antropica sottolineata dai ricercatori dell’UniBo, secondo i dati presentati dalla Regione al 2022, dal Secondo Dopoguerra l’urbanizzazione è aumentata del 400%. Uno dei motivi, nella riviera romagnola, è il sensibile incremento del turismo, soprattutto balneare, che incide per circa l’11% del prodotto interno lordo della regione.
Un’altra ricerca del 2022 guidata da Mattia Amodio del Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC) ha analizzato il rapporto costi-benefici della difesa di questo tratto di costa adriatica dall’innalzamento del livello del mare. Lo studio ha utilizzato lo stato dell’arte delle conoscenze attuali per creare scenari al 2050 e al 2100. Nel primo scenario, al 2050, l’aumento medio previsto del livello dell’Adriatico è di circa 0,2 metri rispetto allo storico 1970-2004, mentre nel secondo scenario, quello al 2100, l’aumento è previsto tra 0,5 e 0,7 metri. Nel primo caso, se non si fa nulla, il mare potrebbe portarsi via completamente la spiaggia di Rimini dalla darsena del porto verso sud, mentre nel secondo caso l’acqua potrebbe penetrare per centinaia di metri dalla costa, considerando che proprio a causa della citata subsidenza, una parte dell’entroterra è praticamente già sotto il livello del mare di oggi.
Estensione del territorio riminese interessato da alluvioni con o senza gli interventi di protezione sul waterfront. (Immagine da: Amadio, M., Essenfelder, A. H., Bagli, S., Marzi, S., Mazzoli, P., Mysiak, J., and Roberts, S.: Cost–benefit analysis of coastal flood defence measures in the North Adriatic Sea, Nat. Hazards Earth Syst. Sci., 22, 265–286, https://doi.org/10.5194/nhess-22-265-2022, 2022.)
Provare a delineare strategie attuabili per proteggere la costa adriatica è stato il focus del progetto AdriaClim, una collaborazione tra Italia e Croazia, concluso nel 2023 con la raccomandazione di misure urgenti di gestione più oculata della costa, liberandone porzioni significative per fare da cuscinetto, restituendo spazio al mare e riequilibrando il flusso dei sedimenti.
Una delle azioni prioritarie che emergono dai diversi studi è la rigenerazione dei waterfront, dei lungomare, sistemando le spiagge e rinforzandone i sistemi di difesa. Questo non vuol dire costruzione di barriere fisse, come si è a lungo ipotizzato nei decenni passati. Già nel 2010 uno studio condotto da un istituto di ricerca riminese, il Gruppo C.S.A. S.p.a., in collaborazione con il Comune di Rimini, aveva analizzato gli effetti di diverse tipologie di barriere, più o meno rigide e segmentate, costruite a partire dagli anni ‘40 per tentare di contrastare l’erosione della costa. Queste opere, simili a quelle che si trovano in tanti altri contesti dalla seconda metà del secolo scorso, hanno senz’altro protetto alcuni tratti di costa, favorendo maggiori accumuli di sedimenti sulle spiagge, ma al tempo stesso hanno acuito il problema nelle zone adiacenti non protette, creando una sorta di frammentazione della situazione del litorale. È da almeno 15 anni, dunque, che si ragiona su sistemi di protezione più integrati che non interferiscano con la dinamica naturale della costa.
Gli effetti delle barriere fisse sono molto visibili in tanti diversi contesti. Per esempio, sul delta del Danubio, come rilevato nel servizio già citato di Marco Ranocchiari.
Il progetto del waterfront riminese realizzato nell’ultimo decennio è diverso, e si pone come una soluzione possibile più adeguata ai cambiamenti in atto. Torniamo dunque su quel lungomare, su quel complesso tecnologico su cui stiamo camminando, che tiene insieme ingegneria idraulica e nature based solutions (soluzioni basate sulla natura).
Quando pochi anni fa il Comune ha pensato di ristrutturare il lungomare meridionale, quello direttamente a est del centro storico della città, ha cercato di pensare in ottica di adattamento ecologico. “Il Parco del mare è un progetto partito nell'autunno del 2019 e che sta riqualificando completamente la nostra linea costiera,” ci spiega Anna Montini, economista all’Università di Bologna e assessora alla transizione ecologica del Comune di Rimini, “e si tratta sostanzialmente di una infrastruttura verde ciclabile e pedonale molto importante che ha sostituito un percorso carrabile completamente asfaltato, rendendo la superficie complessiva molto più permeabile”.
La passerella dove si può camminare, circolare in bicicletta o con altri mezzi di trasporto dolci è stata costruita a una quota media di 285 centimetri sul livello del mare, un metro in più della situazione precedente ai lavori: una difesa adeguata per i prossimi decenni contro l’innalzamento del livello del mare. Una quota che, come ci spiega Montini, “è stata valutata sulla base dei dati scientifici che consideravano sia le previsioni di innalzamento del livello del mare e gli effetti della subsidenza, sia gli eventi meteorologici estremi nelle situazioni peggiori, come vento forte contrario alla costa, mare mosso e alta marea”.
Ma Rimini non si è fermata qui. Il progetto è infatti integrato da un Piano di salvaguardia della balneazione, e cioè una ristrutturazione del sistema fognario della città. “Nella città ci sono circa 12 bacini” dice ancora Montini, “e su 8 di questi bacini abbiamo agito con completa separazione delle reti, passando quindi da un sistema a reti miste a uno dove le reti bianche sono separate dalle nere, che vanno sempre a depurazione”. Sui rimanenti quattro bacini, i più grandi della città, sono state realizzate imponenti vasche di accumulo, prima pioggia e di laminazione.
Mentre sono ancora in corso di realizzazione i lavori sui bacini rimanenti, l’impianto già completato è collegato a tre condotte di un chilometro che corrono sotto il fondale marino. “Ognuna di queste tre condotte ha un diametro di due metri” continua a spiegarci Montini, “Quando siamo di fronte a un evento meteorico eccedente rispetto alla capacità delle due vasche, complessivamente di 39mila metri cubi, possiamo spingere le acque eccedenti attraverso un sistema di pompe molto moderne e potenti a un chilometro dalla riva, mettendo la città in una maggiore sicurezza idraulica e riducendo quindi grandemente il rischio di inondazioni e allagamenti".
Complessivamente, la rigenerazione del lungomare riminese ha ricostituito un ambiente molto più vivibile. “Utilizzando le cosiddette nature based solutions, il profilo della costa è stato rinaturalizzato, con la ricostruzione di un sistema di dune di sabbia e la messa a dimora di piante e alberi tra l’arenile e la passerella” conclude Montini, “rendendo la riqualificazione più armoniosa ma anche creando zone ombreggiate che permettono alle persone di passeggiare e stare di fronte al mare anche nelle giornate calde, e dunque rendendo questo tratto di costa molto più vivibile per tutti”.
Un risultato che alla fine pare aver convinto anche molti degli scettici della prima ora. Quelli che avevano sollevato dubbi e polemiche, come operatori turistici e albergatori del lungomare, preoccupati di perdere parcheggi, ma anche i privati cittadini, oltre 6mila, che hanno dovuto pagare l’allaccio al sistema fognario ristrutturato. I benefici sono infatti già molto concreti. Il lungomare oggi è vissuto a tutte le ore del giorno, ed è frequentato da residenti e turisti, che possono sedersi lungo il percorso, trovarsi nelle piazzette di comunità e fare sport nelle aree attrezzate pubbliche. La messa in sicurezza idrica proteggerà, nel corso dei prossimi anni e decenni, quegli stessi residenti e privati cittadini dai danni che alluvioni sempre più frequenti portano. In altre parole, il costo attuale si rivelerà, assai probabilmente, un investimento ad alto rendimento.
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