Ph: Andrea Carboni

Nel Golfo di Oristano, tra Cabras e Arborea, resistono ben sei zone umide sulle nove totali tutelate in Sardegna. Sono stagni, paludi e saline, fondamentali serbatoi di biodiversità nonché strumento eccezionali per assorbire i gas climalteranti. Tuttavia, ogni iniziativa per il coordinamento degli interventi di tutela è al palo da anni, nonostante già dal 2017 si stato avviato il processo per la nascita, mai andata in porto, del Parco di Maristanis. Oggi questo strumento di tutela — oltre ad essere un'occasione mancata — sembra ancora più prezioso, in quanto avrebbe permesso anche ai comuni più piccoli di parlare con una sola voce contro l’insediamento di progetti di speculazione energetica o per intervenire in modo efficace nel limitare gli inquinanti che, negli anni, sono stati ritrovati nei fiumi che alimentano gli stagni.

Sale ‘e Porcus, Cabras, Mistras, Pauli Maiori, S’Ena Arrubia, Corru S’Ittiri, San Giovanni, Marceddì: intorno al Golfo di Oristano, nel cuore della Sardegna costiera, resiste una delle più importanti ed estese zone umide dell’intero territorio italiano, che tra stagni e paludi, si estende per oltre 140 chilometri di costa e ben undici comuni. Ciononostante, inquinamento e progetti energetici insidiano la salubrità del territorio, mettendo a rischio ciò che è rimasto dopo un secolo di bonifiche e di sviluppo dell’agricoltura industriale. È a questo proposito che, nel 2017, la proposta di un accordo tra le amministrazioni locali avrebbe dovuto creare un parco integrato, favorendo la cooperazione e centralizzando la tutela dei 7.705 ettari di zone umide dell’area. Tuttavia il progetto non ha mai preso piede e oggi, per diversi esperti, la stabilità di queste zone umide è messa a repentaglio dall’inquinamento delle aree produttive ma anche dai progetti per la costruzione di impianti eolici o fotovoltaici.

Eppure l’esigenza di proteggere con ogni mezzo degli ecosistemi così vitali e al contempo fragili non nasce da epifanie recenti. Nel 1971 viene stipulata la convenzione di Ramsar nell’omonima città iraniana, per creare un quadro normativo internazionale a tutela delle cosiddette wetland. All’accordo, a cui aderisce il 90 per cento dei Paesi del mondo, prende parte anche l’Italia nel 1977. Dei 57 siti nazionali individuati e sottoposti a tutela, nove sono in Sardegna e sei proprio sul Golfo di Oristano.

Sono stagni, paludi, saline, torbiere, varietà vegetali e faunistiche che costituiscono un fondamentale serbatoio di biodiversità. Ma le zone umide non sono solamente immensi parchi naturali in cui perdersi e osservare le più variegate specie di uccelli, ma anche un’efficace barriera contro l’erosione delle coste, che tra le altre cose contribuiscono a rendere più fertile il suolo circostante. Di questi ecosistemi è fondamentale sopratutto il loro ruolo di assorbimento dei gas climalteranti, in particolare la CO2. Per questo oggi la loro importanza è ampiamente riconosciuta, a differenza di quanto avvenuto no alla metà dello scorso secolo, quando agricoltura intensiva, pesca industriale e bonifiche hanno iniziato a intaccarle e comprimerle.

 

Obiettivo 2027

Per quanto riguarda la tutela delle acque, questa è in capo ad Arpas, l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente della Sardegna, a cui spetta il compito di monitorare tutte le acque superciali e sotterranee nell’isola. L’obiettivo nazionale, stabilito da una direttiva europea del 2000, è di raggiungere il "buono stato ecologico e chimico" delle acque entro il 2027. Per fare questo vengono realizzati cicli di monitoraggio (quello in corso è il 2021-2027) ma già dai dati più recenti, pubblicati nel 2021, emerge come la costa dell’Oristanese ponga più di qualche preoccupazione.

Sebbene l’analisi completata riguardi soprattutto i corsi d’acqua, rimandando l’analisi delle zone umide al ciclo di monitoraggio attualmente in corso, proprio i fiumi che sfociano nei siti Ramsar sono la cartina di tornasole di quali inquinanti minacciano le zone umide dell’oristanese.

I fiumi che sfociano tra Arborea e Oristano trascinano i pesticidi utilizzati in agricoltura, soprattutto erbicidi come il glifosato e la sostanza che deriva dalla sua degradazione, l’acido aminometilfosfonico (Ampa). Dal 2020, l’Arpas raccoglie tre campioni l’anno e rileva concentrazioni oltre i limiti di glifosato e Ampa in tutti i principali corsi d’acqua che sfociano negli stagni dell’oristanese. Si salva solo il Torrente Sitzerri che nasce nella zona di Montevecchio e attraversa il territorio di Guspini, prima di alimentare lo Stagno di San Giovanni.

L’Arpas rileva anche principi attivi vietati in Europa da diversi anni, pur se in concentrazioni al di sotto dei limiti di legge. Tra questi il Metolachlor, una sostanza vietata dal 2003 e monitorata in Sardegna dal 2020: l’Arpas rileva concentrazioni entro i limiti nelle acque del Flumini Mannu di Pabillonis, nel Tirso e nel Riu Merd’e Cani. Quest’ultimo sfocia nello stagno di Santa Giusta trascinando anche altre sostanze come il Demeton-O, un principio attivo vietato dal 2009 e monitorato quattro volte l’anno dal 2017. Il Riu di Mare Foghe, invece, sfocia nello Stagno di Cabras. In questo corso d’acqua, l’Arpas rileva concentrazioni entro i limiti di Fenthion, un insetticida vietato dal 2007 e monitorato in Sardegna dal 2016. Il Toluene, un solvente per vernici, è presente in concentrazioni entro i limiti nel Riu Merd’e Cani, nel Riu di Mare Foghe e nel Tirso. In quest’ultimo l’Arpas rileva anche concentrazioni entro i limiti di Linuron, un erbicida vietato dal 2017 e monitorato dal 2020.

 

Visualizza a schermo intero

 

Dai fiumi all'acqua potabile

Le sostanze utilizzate in agricoltura possono contaminare anche le acque sotterranee o di falda, cioè quei bacini che raccolgono le acque potabili o quelle utilizzate per l’irrigazione. L’Arpas, quattro volte all’anno, monitora le acque sotterranee che si estendono tra la laguna di Marceddì e lo stagno S’Ena Arrubia. Su 44 stazioni di monitoraggio presenti, 11 analizzano la presenza di prodotti fitosanitari e tutte rilevano la presenza di una o più sostanze. Nelle falde di Arborea, tra il 2015 e il primo semestre del 2021, una stazione rileva concentrazioni superiori al valore soglia (0.1 μg/L) per quanto riguarda l’Azinfos-metile: un insetticida altamente tossico inquinante per l’essere umano e per gli organismi acquatici, vietato in Europa dal 2007.

 

Ph: Benedetta Pagni

 

Nell’oristanese, in alcuni casi l’Arpas registra la presenza di diverse sostanze in concentrazioni superiori ai limiti di legge, come il glifosato e il difenoconazolo, e di pesticidi vietati come il clorpirifos e il linuron. Infine, nella falda al di sotto del Flumini Mannu di Pabillonis, una stazione di monitoraggio registra concentrazioni superiori ai limiti di Metolachlor.

Oltre ai pesticidi, l’Arpas rileva un’elevata concentrazione media di nitrati (≥40 mg/l) nelle acque sotterranee di Arborea, nonché il progressivo aumento della loro concentrazione accanto alle lagune di Marceddì e agli stagni di Corru S’ittiri di Pauli Maiori. Un’elevata concentrazione di sostanze nutritive, come nitrati e fosfati, genera uno sviluppo abnorme di alghe – detto eutrofizzazione – che può provocare gravi carenze di ossigeno nelle acque e una conseguente moria delle specie che le abitano. Lo scorso maggio nello stagno di S’Ena Arrubia sono affiorati oltre 150 chili di pesce morto: l’Arpas ha rilevato una grave carenza di ossigeno ma non ha ancora fornito risposte in merito alle cause.

 

Ostacoli eolici

Ma ai pericoli di terra (o di mare) si aggiungono anche quelli d’aria e che riguardano per lo più le specie dei volatili che caratterizzano stagni e saline. Si sono moltiplicate infatti le richieste per la realizzazione di parchi eolici o fotovoltaici che, oltre a modificare il paesaggio, potrebbero incidere anche sulle abitudini dell’avifauna. Per mappare il grado di pericolosità di questi impianti, Lipu e BirdLife International hanno realizzato un modello che mette il pericolo dell’eolico in relazione con settanta diverse specie di uccelli, quelle che più facilmente potrebbero ferirsi, essere uccise o comunque venire influenzate nelle loro rotte migratorie. La mappa fornita da Lipu toglie ogni dubbio sulla sensibilità dell’area.

 

Uno dei siti su cui si concentra l’azione della Lipu è proprio a Marrubiu, a monte degli stagni, dove è individuato un areale di nidificazione della gallina prataiola e dell’occhione, che rischiano di dover convivere con un parco eolico. Un altro progetto a ridosso dei comuni di Seneghe e Narbolia, che prevede l’installazione di nove aerogeneratori alti no a 125 metri al mozzo e del diametro di 170 metri, sorge nel mezzo di una via migratoria per uccelli di grandi dimensioni.

Per realizzare la mappatura, Lipu ha fatto riferimento a settanta specie diverse di uccelli che sarebbero maggiormente esposte ai pericoli della presenza di pale eoliche: tra queste il capovaccaio, il gipeto, il falco di palude e l’aquila di Bonelli. Quest’ultima caratterizzata, secondo un’osservazione presentata contro il parco eolico di Seneghe, da un particolare "rischio di impatto con le pale eoliche e linee elettriche" a causa "delle sue caratteristiche di volo".

Il tutto avviene a pochi chilometri da quello che sarebbe dovuto essere il parco di Maristanis, l’iniziativa promossa nel 2017 dalla Fondazione Medsea e cofinanziata dalla Fondazione Mava, che avrebbe dovuto creare un unico ente coordinato dall’Area marina protetta “Penisola del Sinis – Isola di Mal di Ventre”.

 

L'occasione mancata

Come detto, gli stagni e le lagune dell’oristanese attraversano undici comuni e si estendono per 7.705 ettari a ridosso del Golfo di Oristano, tuttavia non esiste un coordinamento per la gestione degli interventi di tutela. Ogni amministrazione si occupa del proprio territorio, nonostante tutte condividano corsi d’acqua e zone umide. Proprio a questo sarebbe dovuta servire l’iniziativa, volta a mettere a sistema i comuni da San Vero Milis no ad Arbus, con l’obiettivo di creare un sistema integrato di tutela delle zone umide.

Nel 2019 i sindaci hanno firmato una dichiarazione d’intenti preparando dei programmi in cui sono descritte le azioni di tutela previste. Infine, nel 2021, è stato sottoscritto un accordo di programmazione negoziata denominato Contratto delle zone umide marino-costiere dell’oristanese. Ma dopo tre anni, di fatto, la gestione integrata non esiste e, nel pieno del boom di progetti per la realizzazione di progetti per la produzione di energia da fonti rinnovabili, viene a mancare una voce del parco di Maristanis che pure avrebbe potuto tutelare gli interessi del sistema di zone umide nel suo insieme. Il complesso mosaico di norme a tutela dell’ambiente in Italia tutela infatti in primis le aree naturali protette – come nel caso di un parco marino o regionale – ma anche le zone a esso contigue, che potrebbero pretendere un certo grado di tutela per vicinanza.

"Se il progetto avviato nel 2017 per creare un grande parco regionale del Golfo di Oristano si fosse concluso, oggi anche i Comuni più piccoli avrebbero una voce unitaria e strumenti efficaci per la tutela dell’area dalla speculazione energetica" spiega Alessio Satta, direttore di WWF Mediterraneo e prima direttore di Medsea, al tempo della progettazione di Maristanis: "Il parco, infatti, avrebbe potuto promuovere un modello di sviluppo economico che valorizza le risorse naturali attraverso l’ecoturismo, l’agricoltura biologica, la pesca sostenibile e altre attività compatibili con la protezione di questi straordinari ecosistemi."

 

Ph: Andrea Carboni

 

"Tuttavia, sono ottimista – aggiunge l’esperto – e penso che ci sia ancora l’opportunità di realizzare il parco regionale delle zone umide costiere di importanza internazionale dell’Oristanese. I tempi sono maturi e la maggioranza dei cittadini è consapevole che il parco rappresenta una opportunità straordinaria per il futuro di questo territorio".

Contattata, la sindaca di Arborea, Manuela Pintus, spiega che il progetto non è mai riuscito a partire in quanto "il processo partecipativo avrebbe dovuto coinvolgere anche i tecnici comunali, perché loro sanno se da un progetto scritto in un certo modo possono discendere dei problemi. Questo non è successo". C’è anche un problema di risorse umane, secondo la sindaca: "Mancano figure che conoscano le opere idrauliche o altri esperti delle zone umide come botanici o zoologi". Non è chiaro chi avrebbe dovuto individuare tali figure.

Secondo il sindaco di Cabras, Andrea Abis, il progetto Maristanis "in linea teorica avrebbe potuto proteggere quelle aree dalla speculazione energetica. Tuttavia, per avviare l’ente parco e renderlo esecutivo ci vogliono anche tre anni". Il primo cittadino aggiunge: "In ogni caso, l’ente parco non avrebbe potuto ostacolare le infrastrutture energetiche. Questi progetti avrebbero seguito l’attuale percorso autorizzativo". Il sindaco è tra i firmatari del contratto delle zone umide dell’oristanese, tuttavia, non lo ritiene prioritario: "Per questo mandato preferisco concentrarmi sui progetti necessari, come la bonifica e il dragaggio dello Stagno di Cabras. Il progetto Maristanis è interessante ma complicato da attuare perché comprende aree umide dove si esercita la pesca e l’agricoltura, ci sono i beni archeologici e le spiagge". Per programmare gli interventi di tutela, secondo il sindaco non è necessario istituire un ente parco ma comunque ritiene utile "attuare delle strategie di pianificazione condivisa tra i comuni che condividono un corpo idrico".

 

 


Credits

Questa inchiesta è stata supportata da diversi elementi, incluso:

La maggior parte degli articoli di questa serie è pubblicata in italiano su Il Bo Live, la rivista digitale edita dall'Università di Padova. Collaboriamo anche con colleghi di pubblicazioni indipendenti come Indip, una rivista indipendente con sede in Sardegna.

Wasted Wetlands continuerà nei prossimi mesi e anni. Iniziamo dalla Sardegna, che ospita il maggior numero di siti Ramsar italiani. Andiamo a Cervia, dove le saline, tra le più antiche del Mediterraneo, sono state devastate dall'alluvione di maggio 2023 che ha colpito tutta la Romagna.

E continueremo finché ci saranno dati da raccogliere e storie da raccontare.

Facta shares the creative commons philosophy. Our contents and products are licensed under the CC BY-NC 4.0.
crossmenuarrow-left