Between settlement and constant movement, Homo sapiens have been on the move for around 100,000 years. How have the places we live in changed throughout history? What marks have populations left, and what connection do we have with past ways of living? What have we lost, and what have we learned?

 

Oltrenatura, a podcast produced by FACTA.eu for Festivaletteratura

With the voices of Michael Pollan, Luca Molinari, Michael Jakob, Giancarlo Marconi, Giorgio Manzi, Masolino D’Amico, Emanuela Rosa-Clot, and Chicca Gagliardo.

 

 

Podcast transcript

 

V1: Benvenuti in questo luogo magico, nella Sala dei Fiumi adiacente a un giardino pensile ma è più bello chiamarlo giardino in aria perché crea già una un'immagine di sogno. Questo spazio voluto dal duca Guglielmo verso il 1579, che fa realizzare questo grande refettorio poi trasformato nel ‘700 e accanto fa realizzare questo giardino pensile sospeso in aria a quattordici metri di altezza che tutti venivano a visitare perché era, per l'epoca, un'architettura straordinaria.

V2: Ai primi del ‘700 e soprattutto in Inghilterra comincia a venire fuori invece un’idea diversa, che la natura va lasciata libera, le viene dato il permesso di svilupparsi naturalmente però con un certo controllo, non è che diventa selvaggia. La si controlla lasciandola fare. C'è questo concetto del genius loci, lo spirito del luogo, che va aiutato e non va violentato. E cominciano, proprio agli inizi del ‘700, già alla fine del ’600, cominciamo a vedere della gente all'avanguardia del gusto, che comincia a lasciar fare al loro giardino, che poi è un giardino abbastanza grande, a dargli un po' di di via libera.

V3: Decide di parlare di paesaggio partendo da quello che è uno degli oggetti più invisibili e contemporaneamente più usati da tutti noi, o forse dalle generazioni precedenti soprattutto, usando la panchina come una sorta di dispositivo culturale della visione, un dispositivo complesso in realtà come dire la panchina è sempre dietro qualcuno, sempre sotto qualcuno, sempre dentro un'immagine più allargata. Quindi usare la panchina come un modo per rileggere l'idea di paesaggio. per rileggere la storia..

Nel corso della crisi ecologica e climatica che stiamo vivendo l'attenzione è tutta, anche giustamente mai abbastanza, sugli effetti del nostro modo di vivere sull'ambiente. Al tempo stesso naturalmente anche l'ambiente modifica noi, ci condiziona la vita, ci obbliga a capire come adattarci o ci permette di acquisire nuove capacità. Il raccolto del nostro rapporto con l'ambiente dunque deve sempre considerare questa doppia dimensione, quella degli impatti che causiamo noi ma anche quella degli impatti su di noi.

Questo è quello di cui vogliamo parlare qui, dell'ambiente, così come è stato raccontato per le sfaccettature e dimensioni negli anni al Festivaletteratura di Mantova con le voci degli ospiti del festival selezionate dall'archivio pluriennale consultabile da chiunque al sito archivio.festivaletteratura.it.

V4: Nel ‘700 essere appassionati di botanica era veramente una roba da Primo Ministro.

V5: Quest'isola è stata risparmiata dall'ultima glaciazione che è qualcosa come 466 specie che sono il maggior numero, addirittura maggiore di tutte le isole canadesi messe assieme. Questo vi dice della particolarità e della rarità di questo ambiente.

V6: Strane creature è la storia di una donna che nel sud dell'Inghilterra nell'800 scopre l'esistenza dei dinosauri quindi stravolge e apre le porte a Darwin che arriverà alla teoria dell'evoluzione. La cosa bella è stata che Tresi, quando ci siamo viste in un bar, ha tirato fuori dalla borsa una vertebra di dinosauro, ma io ero molto preparata perchè ho tirato fuori un trilobite, che è un fossile, e quindi chi passava vedeva queste due donne una con una vertebra di un dinosauro e una con un trilobite.

Io sono Elisabetta Tola e questo è Oltrenatura, un podcast prodotto da FACTA.eu in cui riannodiamo le voci delle autrici e degli autori che hanno attraversato il Festivaletteratura di Mantova nel corso degli anni. Per ragionare insieme su come viviamo l'ambiente, su come lo abitiamo, lo plasmiamo, lo raccontiamo, lo percorriamo, lo coltiviamo, lo pensiamo, lo distruggiamo, lo bombardiamo, lo inquiniamo, lo conserviamo. Oggi parliamo dell'ambiente nel quale evolviamo.

Nel corso della nostra vita raramente, a meno di situazioni particolari, vediamo cambiamenti drastici negli ambienti che conosciamo. Certo, le zone periferiche rurali si cementificano e la deforestazione procede selvaggia in molti paesi, ma sostanzialmente la montagna è montagna, il bosco è bosco, la collina è collina, perfino il parco della nostra città se ha alberi secolari ed è lì dai tempi di nostro nonno ci sembra lì da sempre.

Solo un disastro di grande scala ha la capacità di cambiare drasticamente un ambiente ai nostri occhi, come è successo ad esempio con la tempesta Vaia che ha stravolto i boschi delle Dolomiti nel corso di poche ore il 30 ottobre 2018, sradicando milioni di alberi e devastando ettari su ettari di montagna. O come sta accadendo dall'inizio di quest'estate in Pakistan dove le alluvioni hanno fatto finire sott'acqua quasi la metà del paese. Di solito invece nel corso della nostra vita gli ambienti in cui ci muoviamo cambiano in modo molto meno radicale, lento, talvolta quasi impercettibile. E invece l'ambiente evolve si modifica e cambiando finisce con l'influire molto anche sulla nostra vita e sul modo in cui lo popoliamo.

Dunque, partiamo dall'inizio dall'inizio della nostra storia, quella della nostra specie e da un posto molto particolare: la Rift Valley dell'Africa orientale. Si tratta di una zona, detta anche grande fossa tettonica ed è proprio una faglia, che attraversa l'Africa orientale da sud a nord. E qui, nel corso dei milioni di anni che hanno attraversato la storia del nostro pianeta, lentamente l'ambiente è cambiato molto ed è passato da un ambiente forestale a un ambiente di fatto di savana, molto poco popolato dalle foreste che troviamo invece nell'Africa occidentale. Lì ci porta Giorgio Manzi, paleoantropologo che ha raccontato in molti libri e incontri pubblici la nostra storia, quella della specie umana. A Mantova lo ha fatto nel 2014 partendo dalla foto di un diorama esposto a New York, all'American Museum of Natural History, che rappresenta un uomo e una donna di circa 2 milioni di anni fa mentre sono intenti a mangiare, appunto, nella savana africana.

Giorgio Manzi: È una storia vera o meglio, è quanto noi, dati scientifici alla mano, 150 anni di dati scientifici che si vanno via via raccogliendo, sulla base di tutti questi dati è la storia che noi pensiamo effettivamente sia avvenuta nel corso del tempo profondo e che ha portato fino a noi a partire da antenati scimmieschi. Questa scena potrebbe essere avvenuta intorno a 2 milioni di anni fa, nelle savane africane dell'Africa orientale, questo maschio e questa femmina, questo uomo e questa donna, forse insieme ad altri individui, si trovano lì a scarnificare un erbivoro scacciando altri pretendenti a quella carcassa. E i nostri antenati possono sfruttare questa risorsa di nutrimento non avendola probabilmente cacciata loro, non è una loro preda e arrivano loro, scimmie bipedi di savana, con gli strumenti elementari che possono produrre con dei sassi scheggiati, che fanno la funzione dell'attrezzo del macellaio, incominciano a utilizzare, a sfruttare al massimo ciò che rimane di questa carcassa prima che altri possano fare la stessa cosa.

Quindi è un momento intermedio della nostra evoluzione, non è l'origine della nostra specie, questi non sono Homo Sapiens come siamo noi 7 miliardi di individui che popoliamo il pianeta, ma non sono neanche delle scimmie fino in fondo. Non sono quelle forme che chiamiamo australopithecus. E quindi è un momento importante proprio perché sta in mezzo e proprio perché questi primi homo, questi early homo come si chiamano comunemente in letteratura, stanno incamminandosi per un percorso di diffusione geografica, di adattamento ad ambienti diversi e un percorso che poi li porterà a espandere il loro volume cerebrale. Insomma, sta cominciando una storia che è poi quella che porterà alla comparsa della nostra specie cioè di Homo Sapiens. Ma è una storia che non si sarebbe mai potuta realizzare se non ci fossero state le premesse dell'australopiteco che aveva acquisito la locomozione bipede, la postura retta, liberato le mani e in qualche modo assunto le sembianze che vedete in questa ricostruzione artistica ma basata su dati scientifici che sono le sembianze appunto di questi primi homo. Ultimi australopiteco forse o primi homo.

Se oggi possiamo raccontare la storia della nostra specie lo dobbiamo a ricercatrici e ricercatori che negli ultimi 150 anni, dalla seconda metà dell'800 circa, hanno cominciato a raccogliere dati e a studiare fossili e vari resti per capire dove e come sia nata e come si è evoluta la specie umana. Abbiamo capito così, spiega ancora Giorgio Manzi, che l'ambiente ha avuto un ruolo determinante sulla nostra evoluzione a partire dallo sviluppo dell'andatura bipede.

Giorgio Manzi: È un racconto che, come lo stesso Darwin aveva anche capito, inizia in Africa. Effettivamente la nostra storia è una storia che per molto tempo è una storia africana innanzitutto, esclusivamente africana, anzi, la parte interessata è la parte orientale dell'Africa caratterizzata da una profonda frattura tettonica che si chiama Rift Valley. E questa area qui dell'Africa, a parità di latitudine, non è coperta da foreste come ci sono invece da quest'altra parte ma è coperta invece da territori più aperti, da queste grandi praterie dove vediamo grandi mandrie di erbivori, leoni e in quest'area più spoglia dal punto di vista della vegetazione dell'Africa orientale che i nostri antenati si sono potuti evolvere in qualcosa di diverso.

L'acquisizione della postura eretta, della locomozione bipede e poi tutte le storie che seguono sono in qualche modo legate a questo determinismo ambientale. È molto probabile che l'aspetto ambientale sia stato determinante. Fondamentalmente deve essere stato decisivo l'attraversamento di spazi aperti e per attraversarli senza essere aggrediti dai predatori e controllando l'ambiente è meglio stare il più dritti possibile. Ci sono molti altri esempi in natura in cui l'alzarsi il più alto possibile rispetto alla vegetazione consente un sistema d'allarme di gruppo che favorisce la sopravvivenza. 

Insomma, se due milioni di anni fa gli esseri umani si nutrivano, come racconta Manzi, cacciando o sottraendo le prede ad altri animali, poco dopo la storia cambia drammaticamente. Anche qui l'ambiente gioca un ruolo centrale. Una delle scoperte più importanti della nostra storia, infatti, è proprio quella del fuoco e quindi la possibilità di cucinare gli alimenti. Ci vorranno poi quasi tutti questi due milioni di anni per imparare a usare tecniche diverse, come racconta Michael Pollan, giornalista, saggista americano che da circa 20 anni esplora il mondo di come produciamo, cuciniamo e consumiamo il cibo.

Michael Pollan: Comincio dal fuoco perché la cottura con esposizione diretta al fuoco è il tipo di cucina più antico e anche il più spettacolare. Ed è quello che ci accompagna ormai da circa due milioni di anni e da quando l'uomo ha imparato a cucinare con il fuoco ha subito delle trasformazioni fondamentali sia sul piano biologico che su quello sociale. Prima di imparare a usare il fuoco gli esseri umani, come tutti gli altri animali, trascorrevano gran parte della loro giornata a masticare per digerire i cibi crudi. I primati con una corporatura simile alla nostra, passano metà del proprio tempo da svegli a masticare. Capite bene che se uno passa metà della vita a masticare non combina molto altro.

Con la scoperta della cottura a fuoco gli uomini hanno cominciato a distinguersi dalle scimmie. Da quel momento il loro cervello si è sviluppato diventando più grande, la mandibola più piccola, l’intestino tenue più piccolo. In altre parole, cucinare ci ha resi umani.

La scoperta della cottura al fuoco, però, non ci ha regalato soltanto l'accrescimento del cervello. Ci ha dato anche un'altra cosa e cioè quella istituzione che chiamiamo pasto. Quando cucini devi accendere e curare il fuoco e dunque impari a collaborare. Impari certe regole di comportamento collaborativo per impedire, tra l'altro, che il maschio dominante, quello più forte, afferri quel pezzo di carne e se ne scappi via. Quindi ci si raccoglie intorno a un fuoco acceso e questa è la base della civiltà.

Dall'uso del fuoco agli altri metodi di cottura sono dunque passati, più o meno, proprio quei due milioni di anni. Tanto ci è voluto per arrivare a cucinare in modi diversi. Con l'acqua, ad esempio e qui, ci dice Pollan, entriamo in tempi molto più recenti nella scala delle migliaia di anni, quella che ci ha visto poi appropriarci di una tecnologia dopo l'altra.

Michael Pollan: La grande invenzione successiva nella storia della cucina è quella di cucinare in pentola con l'acqua, ma questa appunto richiede la presenza di una pentola, ed è una cosa nuovissima, molto recente. Abbiamo iniziato a usarla solo dieci mila anni fa, quindi per due milioni di anni gli uomini hanno cucinato esclusivamente con il fuoco. Poi è arrivata l'invenzione del pane, scoperto in Egitto circa sei mila anni fa. A quel tempo, appunto, si cucinavano molte farine con l'acqua, facendo delle cose simili al porridge, una pappa. Un giorno qualcuno si è scordato una ciotola di questa pappa, in un angolo al sole, e la pappa piano piano ha cominciato a fare delle bolle, a fermentare. Un egiziano sagace l'ha osservata e ha provato a metterla in un forno e poi meravigliato ha visto quello che succedeva. La pappa cresceva e cresceva. È nato così il pane, invenzione importantissima.

Infine, l'ultima trasformazione che abbiamo scoperto, e che credo sia la più miracolosa di tutte, è la fermentazione, cioè una cottura che fa a meno del calore. È una tecnica molto, molto antica. Prima che inventassimo il frigorifero, fermentare i cibi era l'unico modo di conservare il latte, la frutta e gli ortaggi.

Il tempo della storia umana abbraccia dunque una scala temporale di milioni, centinaia di migliaia, migliaia di anni. Il senso del tempo di ognuno di noi è invece molto più breve e raramente si allunga oltre la durata della nostra vita. Facciamo fatica a concepire, immaginare, rappresentarci concretamente tempi molto lunghi ed è per questo che non possiamo non rimanere affascinati dal fatto che ci siano invece esseri viventi che sono al mondo qualche secolo, in qualche caso da più di un millennio. Stiamo parlando dei grandi alberi, quelli che a volte incontriamo, immensi, solitari, anche nei nostri territori, come gli alberi monumentali, a cui è dedicato da anni perfino un registro specifico, oppure quelli che popolano alcune delle più spettacolari foreste del pianeta, ad esempio quella delle sequoia in California.

Oggi, grazie al lavoro di biologi e botanici come Stefano Mancuso, ma anche a romanzi di grandissimo successo come il sussurro del mondo di Richard Powell, uscito nel 2019 in Italia, gli alberi e le piante sono entrati nel discorso pubblico, non più solo come un contorno d'arredo, ma anche con ragionamenti e narrazioni, talvolta anche scientificamente discutibili, sulla loro capacità di connessione e comunicazione, se non di una vera e propria supposta intelligenza. Ma già nel 2010 un poeta e scrittore italiano, Tiziano Fratus, aveva avviato un percorso di scrittura interamente dedicato agli alberi, addirittura esplorando un concetto specifico, quello di Homo Radix. Ne ha parlato a Mantova nel 2013. 

Tiziano Fratus: Ho voluto fare un po' di viaggi in varie parti del mondo e durante questi viaggi ho incontrato dei grandi alberi, soprattutto in California, ho incontrato un po' di anni fa per la prima volta le sequoie nel loro ambiente naturale, che sono uno degli spettacoli più emozionanti che ho avuto il piacere di poter gustare. 

E durante questi viaggi la poesia mi ha regalato come ultimo omaggio, in qualche maniera, come ultima eredità, proprio il discorso Homo Radix. Queste parole, questo concetto, l'uomo radice, che in me sono nate, appunto, durante questi viaggi. Quindi l'uomo radice, che è l'ultimo regalo che la poesia in qualche modo mi ha dato, è diventato poi invece per me un fatto fondamentale, perché questo concetto, queste due parole che io ho poi usato il latino avendo un cognome latino, fratus, Homo Radix, per me è stato un nuovo inizio, è stato un vero punto di trasformazione della mia vita. 

E quindi è nato questo nuovo concetto, cioè l'uomo radice è la persona che girando il mondo o girando semplicemente un paese, attraversando i paesaggi, si trova a casa propria ovunque e lo fa avendo questi questa sorta di grandi amici, di grandi parenti, di signori molto anziani che sono gli alberi monumentali, grandi alberi, che ovviamente si possono per fortuna ancora almeno andare a incontrare nei posti più diversi e anche più sperduti del nostro paesaggio.

Il rapporto con questi grandi vecchi, dice Fratus, ci obbliga alla riflessione sia sulla nostra misura del tempo che sulla inadeguatezza del nostro linguaggio, impreparato a descrivere questi esseri viventi straordinari.

Tiziano Fratus: Io penso che la nostra misura del tempo sia molto breve, sebbene il nostro cervello, la nostra immaginazione talvolta, riesca appunto a pensare il neolitico, no? Oppure il cambriano, quando è stato il cambriano? Quanti milioni di anni fa, non so più. È talmente grande questa distanza, così come la storia della terra, che sono circa 4,7 miliardi di anni. Sono età talmente incontabili, cioè li possiamo scrivere, lo possiamo anche raffigurare, a parte che tutti quelli zeri nella testa non so chi riesce a immaginarli, dei sapienti probabilmente. Ma già 4.000 anni, mai direi anche 2.000, sono un'età così lunga che è difficile da immaginare addosso a un essere vivente. C'è un essere vivente che è lì da 2.000 anni e quasi non ci credi, perché tu ce l'hai davanti adesso, tu arrivi lì con i tuoi tempi, il tuo secondo, il nostro secondo umano, il nostro tempo minimo, secondo, il minuto, l'ora della nostra vita, non sono ovviamente la stessa cosa per altri esseri viventi, compresi gli alberi.

Anche i botanici, che hanno un linguaggio molto più tecnico ovviamente, giustamente scientifico per parlare del comportamento degli alberi, a un certo punto si trovano di fronte al problema che i termini che utilizzano però hanno una misura antropologica, mentre invece bisognerebbe riuscire a inventare, infatti mi piacerebbe poi provarci a farlo, dei nuovi verbi, coniare delle nuove parole con cui cercare di spiegare come si comportano, come agiscono gli alberi.

L'elaborazione del linguaggio e il senso del tempo sono dunque due dimensioni della nostra relazione con il mondo circostante, della nostra capacità di decifrarlo, capirlo, comprenderlo, studiarlo, anche apprezzarlo. C'è un'altra dimensione molto specifica che è quella dello sguardo, del nostro modo di guardare il paesaggio, la natura, una dimensione che a sua volta è cambiata nel corso della storia.

A Mantova, Michael Jakob, studioso di storia e teoria del paesaggio e autore del libro Sulla panchina, e l'architetto Luca Molinari hanno dialogato su come è cambiato nei secoli il nostro sguardo sulla natura, attraverso un dispositivo molto particolare, appunto la panchina, un oggetto da sempre presente nei parchi urbani, dall'epoca moderna in poi, e che però è stato usato in modi molto diversi per orientare lo sguardo sul mondo. Un oggetto che tutti conosciamo e con il quale abbiamo avuto a che fare, che diventa in questa riflessione su come si è modificato nel tempo il nostro modo di vivere l'ambiente, un punto di osservazione privilegiato. 

E qui, da questa panchina, noi vi salutiamo. Siamo arrivati alla fine di questo percorso in cui abbiamo intrecciato voci e racconti delle autrici e degli autori che negli anni hanno partecipato conversando con il pubblico al Festivaletteratura di Mantova. Un percorso in cui abbiamo parlato di ambiente da tanti punti di vista, dall'ambiente che coltiviamo a quello in cui viviamo, da quello che attacchiamo a quello che esploriamo, da quello che ignoriamo, a quello di cui vi abbiamo parlato in questa puntata, l'ambiente in cui evolviamo. 

Luca Molinari: Tu ci stai raccontando un passaggio che non è così semplice da riconoscere. Di fatto il parco è un'invenzione urbana in cui da una parte si riscrive un'idea di natura che ancora non esisteva. In qualche modo tu nei tuoi libri dici giustamente che il paesaggio, e quindi una certa idea di natura, vengono costruiti come un'idea culturale a partire dal ‘600-’700 in cui si comincia a guardare fuori dalle mura come qualcosa che non è più un nemico, da tenere lontano, ma come qualcosa che viene in qualche modo portato nella vita di tutti i giorni. Per cui il cittadino, l'urbano non ha più paura della natura ma si avventura nella natura e questi parchi sono una specie di elemento di mediazione tra quello che spaventava e qualcosa invece che viene conosciuto attraverso in qualche modo la panchina che diventa un supporto didattico all'incontro con una idea di natura.

Michael Jakob: Ma è sicuramente una storia di estrema ricchezza di complessità però ciò che bisogna sottolineare forse in un primo luogo che i giardini e i parchi avevano una vocazione, anche un'ambizione, assolutamente straordinaria. Oggi si può discutere anche su qual è il senso dei grandi parchi, come funzionano o non funzionano piuttosto, mentre nel ‘500 i parchi sono didattici, c'è sempre un programma, questi programmi erano scritti da intellettuali che poi venivano tradotti da giardinieri, architetti e altri, diventava realtà, e si andava da un punto a un altro. La conoscenza del parco era un po' come la conoscenza di un testo o anche con la sua drammaturgia, era una sequenza di cose da imparare. Poi questo lato didattico nel ‘600 viene ancora trasformato dei giardini francesi, dove c'è la conoscenza della geometria, ci sono idee filosofica e comunque per farla breve, nel ‘700 cambia completamente perché il giardino inglese è proprio un luogo di nuovo incontro con la natura, però l'incontro con la natura messa in scena e nel contempo con qualcosa di estremamente artificiale. Noi quando andiamo in un giardino inglese o sul continente pensiamo di essere nella natura, però in verità questa natura è ancora più artificiale di ciò che vediamo in un giardino alla francese, un giardino geometrico. Sono enormi dispositivi dove, come dicevi tu c'è una relazione tra natura e arte, che viene definita in vari modi. Uno degli elementi più importanti è la panchina, perché la panchina permette sia la sosta e dunque è lì che il proprietario, il paesaggista, il giardinieri hanno preparato qualcosa di degno di essere visto, inquadrato. Dunque la panchina serve ad osservare, al riposo, a leggere, e a tante tante altre cose.

 

Oltre Natura è un podcast del Festivaletteratura di Mantova. Le voci che ascoltate sono state selezionate dall'archivio pluriennale del festival, consultabile al sito archivio.festivalletteratura.it. La produzione è di FACTA.eu, per un progetto ideato e realizzato da Elisabetta Tola e Giulia Bonelli.

 


Credits

You have listened to Oltrenatura, a podcast produced for Festivaletteratura by FACTA.eu.

The concept, interviews and writing are by Giulia Bonelli and Elisabetta Tola.

Oltrenatura, available on festivaletteratura.it and wherever you listen to your podcasts (Spreaker and Spotify).

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