Journeys, walks, paths. Exploring, near or far, has always been a driving force for human communities—sometimes a desire, sometimes a necessity. In search of new lands, fleeing from others. Humanity has constantly moved, walked, and traveled, adapting as it chose where to settle. Exploration continues today, even as we know most of the earth, inspiring us to discover and experience new stories. At times, migration is forced, leaving no choice at all.
Oltrenatura, a podcast produced by FACTA.eu for Festivaletteratura
With the voices of Peter Wadhams, Carlo Barbante, Maria Pace Ottieri, Janne Teller, Fabio Geda, and Enaiatollah Akbari.
Podcast transcript
V1: Nel mezzo del cammin di nostra vita, mi ritrovai per una selva oscura che la vita mi era smarrita.
Viaggiare è sempre stata una pulsione delle comunità umane, talvolta un desiderio, talvolta una necessità, in cerca di nuove terre oppure in fuga da altre. Nel corso dei secoli l'umanità si è mossa, ha camminato e viaggiato in continuazione, di fatto modellando l'ambiente che man mano incontrava. Ed è di questo che qui vogliamo parlare, l'ambiente, così come è stato raccontato negli anni al Festivaletteratura di Mantova, con le voci degli ospiti del festival selezionate dall'archivio pluriennale consultabile da chiunque al sito archivio.festivalletteratura.it.
V2: Informandosi delle ragioni per cui uno parte, da dove parte, si capiva fin da allora che si trattava di un fenomeno costitutivo del nostro secolo.
Io sono Giulia Bonelli e questo è Oltrenatura, un podcast prodotto da FACTA in cui riannodiamo le voci delle autrici e degli autori che hanno attraversato il Festivaletteratura di Mantova nel corso degli anni. Per ragionare insieme su come viviamo l'ambiente, su come lo abitiamo, lo plasmiamo, lo raccontiamo, lo percorriamo, lo coltiviamo, lo pensiamo, lo distruggiamo, lo bombardiamo, lo inquiniamo, lo conserviamo. Oggi parliamo dell'ambiente che esploriamo.
Fin dall'antichità l'ambiente viene esplorato dai primi esseri umani che si sono poi evoluti sul nostro pianeta. Dal nostro punto di vista, quello europeo per intenderci, il primo ambiente a essere esplorato in modo sistematico di fatto è il Mediterraneo. Questo avviene già all'inizio del secondo millennio a.C. Cretesi e Micenei commerciano sulle rive di tutto il bacino, mentre più tardi greci e fenici escono dallo stretto di Gibilterra fino ad arrivare alle isole britanniche e ancora più tardi i Romani ampliano le conoscenze geografiche mediterranee raggiunte fino a quel momento.
Nell'età moderna l'esplorazione umana continua scavalcando i continenti, da Marco Polo a Cristoforo Colombo e a Marigo Vespucci, da Ferdinando Magellano a James Cook. James Cook tra l'altro è uno dei primi che con i suoi viaggi nel Pacifico associa l'esplorazione alla scienza, un tratto molto presente ancora oggi.
Oggi infatti la scienza continua a essere un grande motore dell'esplorazione umana e questo è vero soprattutto per le zone del pianeta più difficili da raggiungere, le regioni polari per esempio. Peter Wadhams, Professore emerito di fisica oceanica all'Università di Cambridge è tra i massimi esperti mondiali di Artico e può essere considerato una specie di moderno scienziato esploratore. Infatti ha condotto oltre 50 spedizioni polari, compresi sei viaggi in sottomarino al Polo Nord. Durante l'edizione 2018 del Festivaletteratura Wadhams racconta i suoi viaggi tra i ghiacci insieme a Carlo Barbante, direttore dell'Istituto di Scienze Polari del CNR. I due ne parlano con una nota un po' amara. Infatti future generazioni di scienze polari dovranno affrettarsi perché la crisi climatica sta minacciando l'Artico più di qualunque altra zona del pianeta.
Carlo Barbante: Se volete fare gli esploratori polari e volete attraversare con gli sci l'Artico è meglio che lo fate subito e fatelo d'inverno. Questo è un messaggio che è molto chiaro. Un'altra domanda avevo Peter, perché noi che viviamo a 45 gradi di latitudine Nord dobbiamo preoccuparci del fatto che l'Artico stia fondendo così rapidamente.
Peter Wadhams: Ritornando appunto all'esempio che se volete attraversare, sciando, l'Artico dovreste farlo adesso è la verità perché già in questo momento l'Artico è diventata una zona, un ambiente estremamente ostile in un certo senso perché in passato il ghiaccio era estremamente solido e resistente durante l'inverno. Questa invece è l'immagine che potete vedere del ghiaccio nel mese di marzo quando inizia già a creparsi praticamente. Questo significa che ad esempio gli aerei non possono più usare il ghiaccio come base per decollare. L'Artico quindi è diventato un luogo estremamente ostile per chi deve lavorare o vivere in questa regione.
Perché si riscalda prima la zona dell'Artico è veramente la domanda più difficile a cui rispondere perché in realtà non si sa bene perché questo accada. Infatti in generale si sa che la regione dell'Artico si riscalda 3-4 volte più velocemente rispetto a qualsiasi altra regione del nostro pianeta. È importante questa regione perché quello che accadrà nel mondo sta già accadendo adesso nell'Artico. Quindi quello che noi vediamo accadere lì è quello che ci aspetta il nostro futuro. Quindi non solo l'Artico è una sorta di driver del cambiamento climatico ma accade lì tutto quello che accadrà anche in futuro.
Esplorare l'Artico dunque significa in un certo senso guardare avanti nel tempo, guardare i possibili effetti a lungo termine dei cambiamenti climatici sull'intero pianeta. Ormai è dimostrato che il suo riscaldamento dell'Artico così come gli altri gravi effetti del cambiamento climatico sono causati dall'essere umano. Ecco dunque che i moderni esploratori scienziati, come Peter Wadhams, ci insegnano quanto sia importante ancora oggi esplorare l'ambiente per capirlo, per studiarlo e anche per immaginare possibili soluzioni per mitigare la crisi ambientale e dunque globale che stiamo vivendo.
Una crisi che in molte parti del mondo sta già avendo drammatiche conseguenze, non soltanto sull'ambiente ma anche sulle persone spesso forzate a emigrare dal proprio paese. Ne riflette al Festivaletteratura di Mantova la giornalista e scrittrice Maria Pace Ottieri, provando a raccontare le storie di immigrazione dal punto di vista di chi è costretto a mettersi in viaggio.
Maria Pace Ottieri: Sono ancora da arrivare tutti i profughi delle catastrofi climatiche delle catastrofi che seguiranno e purtroppo sono destinati ad aumentare, cioè di paesi che diventano sempre più invivibili. E poi ci sono i conflitti. C'è una parola che rappresenta più di ogni altra l'ipocrisia e l'occultamento della realtà dell'immigrazione ed è la parola emergenza. Io ho cominciato a occuparmi di questo tema per passione, avevo fatto degli studi ed ero stata molte volte nell'Africa subsariana e quando ho cominciato a vedere sotto casa nelle nostre città i Senegalesi, ma ancora prima, molto prima, nella metà degli anni ‘70 erano arrivati gli Eritrei e poi i Somali. Comunque quando il fenomeno cominciava a essere visibile mi ci sono un po' buttata.
Questa parola emergenza cosa ha fatto? Ha coperto questo fenomeno che era fin da allora un fenomeno della storia e non della cronaca. Era un fenomeno che andava capito come di lunghissimo termine e questo si poteva capire molto facilmente, semplicemente informandosi se non delle situazioni dei migranti economici che comunque vanno rispettati e sono un'avanguardia di tutti quelli che avrebbero buonissimi motivi per venire. Quando si è gridato per anni e anni all'invasione in realtà l'immigrazione era molto contenuta e emigrare è una scelta e una decisione durissima che comporta una lacerazione senza ritorno perché non si è mai più, non si sarà mai più gli stessi, non si tornerà mai più nel proprio paese come si è partiti e anche quelli che tornano sono una minoranza e non riescono neanche più veramente a reintegrarsi.
Quindi informandosi delle ragioni per cui uno parte, da dove parte, qual è la situazione in cui sta vivendo, si capiva fin da allora che si trattava di un fenomeno costitutivo del nostro secolo.
Già nel 2015 Ottieri a Mantova parlava di flussi migratori che poi si sarebbero intensificati negli anni successivi, ad esempio quelli dovuti al conflitto siriano. Dando uno sguardo molto lucido sull'insensatezza dei confini nazionali stabiliti dagli uomini.
Maria Pace Ottieri: Stiamo parlando non di invasione, certamente adesso i numeri crescono, ma i siriani in tutto sono 20 milioni di persone, quindi in Europa siamo 500 milioni di persone, si parla in ogni caso, se anche metà della popolazione siriana arrivasse da noi si tratterebbe dello 0 virgola pochi numeri, 1-2% della popolazione, quindi una popolazione assorbibile.
Si tratta di dare a queste popolazioni di giovani, così come quelle africane che sono al 70% persone al di sotto dei 30 anni, a cui il gioco del pianeta, il gioco dell'oca del pianeta ha dato per destino di star fermi un giro, ma questo giro dura tutta la vita, cioè di non avere un futuro, di dare un'occasione per avere questo futuro, che non necessariamente sarà tutta la vita in Europa, ma in questo momento certamente non c'è più nessun villaggio, il più sperduto del mondo, che non sappia che esistono paesi, continenti, città dove si vive molto ma molto meglio che da loro, e perché in un mondo in cui tutto circola, circolano i turisti da decenni, sfrenatamente con Ryanair, ormai non si sta più fermi una settimana di fila, circolano gli studenti che giustamente vanno a studiare all'estero, circolano i capitali, le imprese, la frutta, i pesci, le scarpe, tutto si muove, ma gli unici soggetti che sgomentano e che indignano perché si vogliono muovere sono proprio le persone, le persone che chiedono semplicemente di esercitare il proprio diritto a circolare nel mondo.
Se ci pensate, se da un giorno all'altro ci impedissero di viaggiare, di fare i nostri viaggi, che oramai sono diventati quasi un dovere, ci stupiremo perché noi non possiamo di colpo andare in Marocco a visitare le città berbere, perché non possiamo andare di qui a di là, e questo è esattamente quello che noi imponiamo a chi vuole venire.
Io non sto facendo la cosa facile, è molto complicato assorbire in un periodo così difficile come quello che l'Europa sta attraversando, tante persone che vengono da contesti culturali diversi, è molto difficile, però è un fatto della storia, non abbiamo molta scelta, se ci fosse stata una terza guerra mondiale ce la saremmo dovuta beccare, affrontare in qualche modo, per fortuna fino adesso non c'è, ma ci sono tante guerre che non sono più così lontane.
Il quadro dipinto da Maria Pace Ottieri nel 2015 oggi ci risuona quasi come una profezia. La pandemia di Covid-19 ci ha dato un assaggio della fragilità umana, mentre la guerra in Ucraina ha portato in Europa una crisi che in passato poteva apparirci confusa e distante.
Ma per capire davvero la condizione di chi è costretto a lasciare il proprio paese serve un passaggio in più, serve un vero e proprio sforzo di immaginazione. È quanto sostiene ad esempio la scrittrice danese Janne Teller. Nel suo libro “Immagina di essere in guerra”, la mappa del Mediterraneo viene bruscamente capovolta, di colpo sono i bambini europei a fuggire con le loro famiglie verso le sponde del Maghreb. Secondo l'autrice, la letteratura ha questo straordinario potere, quello di farci sperimentare almeno in parte una vita che non ci appartiene. Ed è questo che Teller cerca di fare nel suo libro, come racconta all'edizione 2019 del festival.
Janne Teller: Per quanto riguarda questo libro, Immagina di essere in guerra, è nato circa vent'anni fa in Danimarca, in un'epoca in cui la retorica contro i rifugiati si era fatta particolarmente negativa. Io ho cominciato a sentire la necessità di proporre un cambio di prospettiva, di punto di vista. Volevo che fosse possibile immaginare come sarebbe stato trovarsi al posto di questi rifugiati, trovarsi in un posto nuovo e strano, e quindi questo ribaltamento si è reso necessario.
Intanto penso che il problema sia, più che oltre all'immaginazione, una mancanza di rispetto molto comune nel modo di rapportarci a queste persone che arrivano da noi con dei bisogni molto forti, con delle necessità e con molto poco. Questa mancanza di rispetto sembra legata non soltanto a una difficoltà di immaginarsi al loro posto, ma anche forse proprio alla volontà di non volersi immaginare al loro posto. Perché se noi non ci vogliamo immaginare al loro posto, non ci vediamo così, come sono loro, riusciamo più facilmente a vederli distanti da noi, come animali diversi. Se invece ci immaginiamo al loro posto, li dobbiamo vedere come fratelli e li dobbiamo trattare di conseguenza.
Qualcosa di molto simile fa Fabio Geda, educatore esperto di disagio minorile e scrittore. Nel 2010, Geda firma quello che diventa un vero e proprio caso letterario, pubblicato in più di trenta paesi. Il libro “Nel mare ci sono i coccodrilli”. La storia vera del giovane afgano Enaiatollah Akbari. A dieci anni, Enaiatollah viene abbandonato in Pakistan dalla madre, che cerca così di salvare il figlio dai talebani. Da qui inizia per lui un viaggio incredibile di oltre quattro anni, verso l'Iran, la Turchia, la Grecia, fino ad arrivare in Italia, a Torino, dove ottiene asilo politico. È qui che Fabio Jedda lo incontra. Un incontro che lo segnerà profondamente, come racconta lui stesso all'edizione 2020 del festival.
Fabio Geda: Un giorno vado a presentare quel mio primo romanzo e mi mettono accanto questo ragazzo afgano, che io non conoscevo, che aveva 18 anni, in modo che la sua storia vera di immigrazione facesse da controcanto alla mia storia inventata. E quel giorno accaddero diverse cose straordinarie. La cosa più straordinaria è che io mi innamorai follemente del modo con cui Enaiatollah raccontava la propria vicenda di migrazione, la propria migrazione, il proprio viaggio. Perché, lo sapete bene, basta accendere la televisione o leggere uno dei tantissimi libri che in realtà negli ultimi dieci anni sono stati scritti su questo tema. Spesso cadere nel voyeurismo del dolore, anche in una certa pornografia del dolore, è molto facile. E invece, come Domenico diceva splendidamente nell'introduzione, sentire quella storia raccontata direttamente da chi l'aveva vissuta e sentire chi l'aveva vissuta volare leggero sulla sofferenza, illuminando la speranza, illuminando i sogni.
Siamo diventati amici, abbiamo cominciato a chiacchierare e da quelle chiacchiere è nato Nel mare ci sono i coccodrilli. L'abbiamo presentato per tre anni ovunque, dopo tre anni giustamente Enaiatollah un bel giorno mi dice: “Guarda Fabio, io mi fermo qui, adesso basta. Basta perché il libro esiste, il libro c'è. Se la gente vuole sapere di me, adesso che si legga il libro. Io di stare tutto il giorno, tutti i giorni a rimestare nel passato, no?” Poi facevamo un sacco di incontri con le scuole, per cui ovviamente lo sapete, no come sono i ragazzi nelle scuole, vanno subito al cuore della faccenda, per cui ti manca tua mamma. Tutti i giorni star lì a trovare parole per dare senso in modo leggero al mio dolore, alla mia sofferenza, al mio vissuto, a quello che mi sta capitando l'ho fatto adesso, se vuoi, vai avanti tu a fare incontri. Io penso al presente, penso al futuro.
E al futuro, Enaiatollah Akbari ci pensa davvero. Si laurea in Scienze Internazionali dello sviluppo e della cooperazione e inizia a lavorare all'Università di Torino. Resta sempre in contatto con Fabio Geda, ma come dice lo scrittore stesso, i due si danzano intorno. Insomma, pensano che il primo romanzo abbia di fatto già raccontato tutto quello che c'era da dire, che non serva a aggiungere altro. Invece nel 2020, a 10 anni dalla sua odissea verso l'Italia, Enaiatollah decide di raccontarsi nuovamente nel libro “Storia di un figlio”, sempre con Fabio Geda. Nello stesso anno si racconta anche al pubblico del Festivaletteratura di Mantova durante un evento intitolato “Mia madre mi disse di fare un viaggio”.
Enaiatollah Akbari: Io quando sono arrivato qua ero un ragazzino. Un ragazzino che non conosceva maggior parte dei fatti del mondo, maggior parte dei fatti che succedeva in Afghanistan. Per esempio, come mai adesso io sono qua, tutto il mondo, i maggior paese del mondo, anzi quel periodo sono entrato in Afghanistan. Quindi tutte le domande che ho con il tempo, attraverso il mio studio in relazioni internazionali che studiavo, mi incuriosiva di capire tutti i movimenti. Ho anche un po' il senso della migrazione, perché sono rifugiato politico a questa età, perché sono arrivato in Italia, perché non potrei stare a casa mia. Tutte queste domande dentro mi giravano. Poi intanto cosa è successo alla mia famiglia dopo il mio abbandono in Pakistan e mia mamma è tornata in Afghanistan, cosa è successo? Ovviamente io con l'abbandono in Pakistan, in qualche modo, sono stato anche un po' gettato a un mondo, a un spazio più grande in cui poter volare, in cui poter cercare, nonostante tanta difficoltà, un altro posto un po' che mi garantisca più sicurezza.
In quel periodo non lo sapevo dove c'è la sicurezza, intanto potevo camminare, potevo correre. In un posto dove se corro non c'è la mina, come in Afghanistan, non c'è la mina che mi si esplode sotto i piedi e se corro non c'è uno che magari mi guarda e mi spara in testa. Sì, dovevo correre a superare i confini, ma mia famiglia era ancora perseguitata, mia famiglia ancora doveva affrontare la questione del debito, la mia famiglia ancora doveva in qualche modo salvare un altro figlio maschio che poteva essere un risarcimento dei danni che ricattavano i talebani. E mia famiglia dopo di me ha avuto un sacco di emigrazione anche loro, hanno dovuto fare abbandonare il mio villaggio, andare in un'altra città, poi anche di là nel campo profughi, per esempio, a Ghazni, la città più vicina del mio villaggio, e poi si sono trasferiti a Kabul.
Ciò che è successo poi con 11 settembre, poi come sono entrate in Afghanistan la forza dell'Occidente. E tutto quel periodo lì per me è stato anche un po' in qualche modo, per me a distanza non lo sapevo veramente, la mia famiglia si trova lì sotto i bombardamenti, affrontato tutti quelli che hanno tra i due regime, di democrazia e l'altro regime di talebani, con il mio studio, con la ricerca che ho fatto. È anche molto importante, anche un fatto di responsabilità, il fatto della responsabilità io sono stato qui fortunato rispetto a tanti migranti, perché qua io non ho dovuto, prima di tutto sono stato accettato come minorenne, cioè che posso stare da sé fino a 18 anni e avere un tetto sulla testa, un pasto garantito. E questo è un fatto di responsabilità per me, perché io ho potuto studiare, ho potuto capire un po' di cose che altri non hanno avuto la possibilità di capire, e quindi dovrei essere in qualche modo anche voce per loro.
Questo racconto di Enaiatollah Akbari a Mantova avviene poco dopo l'accordo di Doha, che se vi ricordate nel 2020 sancisce un trattato di pace tra la fazione afgana dei talebani e gli Stati Uniti. Di fatto è il primo passo, che poi come sappiamo avrebbe portato al ritiro delle truppe statunitensi dall'Afghanistan e al ritorno dei talebani nell'estate 2021. Tutti eventi che ovviamente in Enaiatollah seguono un grande preoccupazione dall'Italia, senza però perdere la speranza che in questi anni gli ha permesso di andare avanti e cambiare il suo futuro.
Enaiatollah Akbari: Il mio sogno più grande è questo di un giorno di poter mettere qualche ONG in piedi e entrare nella scuola e curare un po', come diceva mia mamma, “un albero, se vuoi piegarlo, puoi piegarlo quando è una piantina, quando diventa tronco è impossibile”. Per me dalla scuola si può iniziare, si può iniziare un percorso di rinascita, un percorso di crescita, un percorso anche di salvezza.
All'inizio del 2022, Enayatollah Akbari diventa finalmente cittadino italiano.
V1: Nel mezzo del cammin di nostra vita, mi ritrovai per una selva oscura e la vita mi era smarrita.
V3: Allo! Allo! Allo! Chi parla? Chi parla! Mamma! Mamma! Mamma! Mamma!
Oltre Natura è un podcast del Festivaletteratura di Mantova. Le voci che ascoltate sono state selezionate dall'archivio pluriennale del festival, consultabile al sito archivio.festivalletteratura.it. La produzione è di FACTA.eu, per un progetto ideato e realizzato da Elisabetta Tola e Giulia Bonelli.
Credits
You have listened to Oltrenatura, a podcast produced for Festivaletteratura by FACTA.eu.
The concept, interviews and writing are by Giulia Bonelli and Elisabetta Tola.
Oltrenatura, available on festivaletteratura.it and wherever you listen to your podcasts (Spreaker and Spotify).